20
Jul, 2022
Povertà educativa, il peso delle parole – Nadia Naibo
La definizione “povertà educativa” non indica un fenomeno omogeneo, ma comprende diverse sfaccettature di una sfavorevole condizione personale, familiare, di comunità locale in cui un bambino/ragazzo cresce con insufficienti stimoli ed esperienze che lo possano sostenere nella realizzazione del sé, secondo le proprie attitudini e particolarità.
Personalmente non amo la definizione, preferisco parlare di scarse opportunità educative, perché le parole hanno un peso e il concetto di povertà richiama facilmente alla scarsità di mezzi economici: ogni giorno si parla di forte aumento della povertà in Italia, di nuovi poveri, etc..; il concetto di “povertà” abbinato al concetto di “educazione” potrebbe indurci a pensare che la povertà educativa è correlata alla povertà economica e questo diventa a mio avviso fuorviante.
Nella nostra esperienza quotidiana incontriamo famiglie che vivono in una condizione di sufficiente o adeguato benessere economico, ma che non sanno “produrre” ricchezza educativa.
Quando osservo passeggiare un genitore con il figlio di 1 o 2 anni in passeggino con il cellulare tra le manine (e di solito anche il genitore) mi domando se quella passeggiata all’aperto, per le strade e nel parco, permetta lo stesso accesso all’area emotiva e cognitiva se fatta concentrati sul cellulare piuttosto che sulle esperienze visive, uditive, relazionali che una semplice passeggiata offre.
La riflessione è banale e non vuol certo stigmatizzare la situazione rappresentata, in cui magari ognuno di noi un po’ si riconosce, la uso solo per aprire la riflessione sul fatto che quando parliamo di povertà educativa dobbiamo soffermarci sulla capacità/abitudine degli adulti di essere attenti ai bisogni educativi profondi dei bambini e ragazzi e quindi sulle capacità dei genitori, della famiglia e delle diverse componenti comunitarie (gruppi, associazioni, servizi per l’infanzia e per i ragazzi) di sviluppare processi educativi che mettano al centro l’obiettivo di promuovere occasioni di crescita, la “pratica della gioia” (Paola Milani, università di PD).
Ben vengano tutte le misure economiche nazionali, regionali, locali che facilitano l’accesso a attività ed esperienze socio educative, ma tutto sommato queste misure non necessitano di un grosso lavoro sociale per essere usufruite; mi piace aprire un confronto sull’idea che i servizi sociali debbano prioritariamente riflettere con tutti gli interlocutori territoriali sull’esperienza concreta dell’educare: non sono solo la quantità e la qualità delle esperienze che un bambino/ragazzo può fare che segneranno la sua qualità di vita attuale e futura, ma anche l’intenzionalità educativa che le permea, quella di essere luoghi in senso fisico e simbolico dove ogni bambino possa fare esperienza significativa e pregnante dal punto di vista emotivo e relazionale.
Assistente Sociale Nadia Naibo, Servizio Sociale dei comuni Livenza Cansiglio Cavallo (ente gestore Comune di Sacile).