20

Mar, 2024

“Il mestiere più difficile del mondo” di Marco Napoletano

By: | Tags: | Comments: 0

Supporto, Sostegno, Svezzamento. Tre parole chiave della relazione educativa. Tre concetti facili da ricordare, meno facili da mettere in pratica.
Perché non sempre, come genitori, educatori e insegnanti, riusciamo ad essere a servizio dei nostri bambini e ragazzi in modo gratuito e incondizionato.
I limiti della nostra umanità ci pongono di fronte a fatiche, momenti di stanchezza, resistenze interne talvolta legate alla nostra storia personale.

Supportare un bambino che cresce è un’arte complessa: richiede di essere presenti e solerti quando affronta un ostacolo o una sfida, ma al contempo di non sostituirci a lui,
di lasciargli quel margine di autonomia che gli è necessario per sperimentare sé stesso, conoscersi, rinforzarsi, costruire la propria autostima e solidità.
Mica semplice, la funzione di supporto: significa esserci ma non troppo, lasciarlo fare da solo ma continuare a vigilare, e qualche volta truccare le carte senza farsi scoprire,
in modo che possa vivere un’esperienza di successo, prendere coraggio e fare da solo la volta successiva.
E tutto, possibilmente, con gratuità, senza aspettarci qualcosa in cambio o pretendere riconoscenza; anzi: magari anche inghiottendo qualche rospo, perché talvolta vorremmo che
si appassionasse a qualcosa che piace a noi, e invece lui sceglie altro, e lo dobbiamo supportare ugualmente…

E il sostegno? Altro bel banco di prova, perché sostenere significa sorreggere qualcuno che rischia di cadere, o che si scoraggia, o che in quel momento non ce la fa da solo e dobbiamo fare per lui.
Come sappiamo bene per esperienza diretta, in età evolutiva sono tanti i momenti di demotivazione, le emozioni negative, le esperienze di insuccesso, le relazioni che mettono alla prova,
e spesso viene la voglia di mandare tutto all’aria, disinvestire, abbandonare, ritirarsi nel guscio, piangersi addosso, regredire.
È qui che un genitore o un insegnante può fare la differenza se sa offrire un sostegno adeguato: innanzitutto con l’ascolto, poi coltivando l’esile piantina della speranza, cioè aiutando a ritrovare
la strada che sembra smarrita e facendo qualche passo insieme.
Però anche in questo ci sono diverse dinamiche interiori che scattano nella pancia di un educatore: alcuni genitori avvertono l’impulso di “fare giustizia” per il figlio
(e allora giù polemiche all’indirizzo di insegnanti o genitori degli amici, o addirittura contro gli altri bambini o ragazzi…); ad altri scatta la stizza verso il figlio o lo studente che vedono in difficoltà
(“ma come, dopo tutta l’educazione che ti ho dato, ancora non sai affrontare a testa alta le difficoltà, lo studio, la vita?!”); altri partono con la sequela di consigli, indicazioni, giudizi,
dimenticando che il sostegno è innanzitutto ascolto e fiducia. Non è sempre facile essere consapevoli e padroni di noi stessi.

E infine c’è lo svezzamento, che contrariamente alle suggestioni che il termine richiama (dal seno alla pappetta…) non è questione che riguardi soltanto la prima infanzia, ma si ritrova in molte
fasi della crescita di bambine e bambini, ragazzi e ragazze. Svezzare significa saper dire “ora puoi fare da te, poi staccarti dal nido, non hai più bisogno di me”. Una frase che può riempire di orgoglio chi la pronuncia,
ma che porta inevitabilmente con sé anche una nota di tristezza, se non di lutto: per quel figlio o quella figlia (studente o studentessa) non saremo più così importanti e necessari;
decade quel ruolo che avevamo noi suoi confronti, e che magari dava un senso alla nostra vita, e restiamo a guardare una schiena che si allontana sopra una bici senza più bisogno di rotelle e della nostra presenza,
e magari ci tocca pure morderci la lingua e gestire in silenzio la preoccupazione per quanto potrebbe succedere mentre si allontana.
Lo svezzamento costa, soprattutto agli educatori, ed è bene mettere in conto questo prezzo da pagare e saperlo sostenere, pena la creazione di meccanismi disfunzionali come quelli per cui, raccontandoci che lo facciamo per loro,
li teniamo legati per il nostro intimo rifiuto di lasciarli andare.

Insomma: educare è davvero il mestiere più difficile del mondo, perché ci costringe a lavorare contemporaneamente su più fronti: la loro crescita e la loro necessità, ma anche le nostre paure, emozioni e necessità da governare;
il presente e il futuro, perché non resteranno bambini per sempre e dobbiamo prepararli fin da ora, ma pure il passato, cioè la nostra storia di figli e tutto ciò che, più o meno consapevole e risolto,
portiamo con noi nel ruolo di educatori, insegnanti e genitori.

“Sarà difficile”, dice la canzone, “ma sarà come deve essere”, perché se è vero che è il mestiere più difficile del mondo, è altrettanto vero che si tratta del bello ed importante.
E per fortuna non mancano, a saperle cogliere, le occasioni per trovare aiuto e formazione, per recuperare motivazione e ripartire con le pile ricaricate.
Occasioni come quelle offerte da “La Relazione Educativa”, promossa dall’Associazione L’Arcobaleno di Porcia e rivolta a genitori, insegnanti, educatori, volontari e in generale a chiunque
sia interessato ad acquisire strumenti e competenze in ambito educativo.

800x300_29b

 

Leggi l’articolo successivo

 

facebookmail